[Intervista 17-09-10] Fabri Fibra intervista per XL

17 set 2010 | |

Due braccia che scendono dall’alto affettano con coltello e forchetta
il suo cervello con tanto di scatola cranica scoperta: Fabri Fibra ci sta mostrando la cover di Controcultura, il suo nuovo album: «Quelle potrebbero essere le braccia di Emilio Fede. In Italia è tutto alla luce del sole, la manipolazione funziona. La cultura dominante è la tv ed è talmente forte che non ha più bisogno del contenuto. La controcultura è opposta alla cultura dominante, è un’immagine brutta o con un contenuto forte. Ma non esiste. Il paradosso è che do il titolo a qualcosa che non esiste. Non esiste a tal punto che se chiedi cos’è la controcultura ti dicono che è contro la cultura. Le idee hanno energia e in Italia non c’è energia, basta qualcosa di diverso per rompere l’equilibrio e quindi bisogna far tacere quel qualcosa.
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Su Internet qualche verità passa, difficile è fare la differenza, ma può essere un primo passo».
Nei tuoi nuovi pezzi citi Dell’Utri, Bertolaso e il “ciarpame senza pudore”. E una frase come «Ho sognato di condurre Striscia la notizia/ con Noemi Letizia fatta a pezzi/ in una borsa di Krizia» sintetizza la nausea di molti…
«Cinque anni fa una frase come quella sarebbe stata considerata controversa, oggi no, siamo andati talmente oltre che neanche ci si accorgerà della provocazione: se insisti a farmi vedere un certo tipo di tv non puoi aspettarti che non nascano dei mostri. La politica ormai è come il Chiambretti Night: lustrini, nani, ballerine. E fango indiscriminato perché non ci si deve capire niente e creare confusione fa gioco. In mezzo a tante bugie se ti va bene, puoi sceglierti la meno peggio, mai la verità».



Attacchi Fabio Fazio…
«Ho fatto un disco d’oro e due di platino, Fabio Fazio mi ha rimbalzato tre volte forse perché pensa che io sia troppo vero per la televisione
e lui non vuole avere problemi. Vuol dire che gli serve qualcosa di più finto. E allora vaffanculo. Nel disco sono nominati i complici della tragedia italiana che stiamo vivendo. Perché se inviti Cassano in prima serata e lui dice che col calcio guadagna più di mezza Italia mentre io non vado bene, c’è qualcosa che non va».

Citi positivamente Travaglio e Santoro, col primo ti sei anche incontrato…
«Sono tra le poche voci fuori dal coro in tv.
In un mondo normale sarebbero persone normali ma nel nostro Paese è talmente assurdo dire le cose che sono visti come degli eroi».

Emerge sempre una voce morale nei tuoi pezzi…
«Per farti capire una cosa preferisco parlarti di quello che, secondo me, è sbagliato, così alle cose buone ci arrivi per esclusione. Comunque non vivo bene di mio. Sono sempre alla ricerca di una verità. Ho capito che non la puoi trovare nelle persone, ma in quello che fanno, nella capacità di fare autocritica che nell’era del dito puntato è una dote rara. Se tutti su Internet insultano è perché la frustrazione è nazionale, sono tutti in casa senza lavoro, ma non c’è la corsa per raggiungere il traguardo».
A proposito di insulti: i giornali in questi giorni raccontano degli scambi non proprio garbati su Internet tra i tuoi fan e quelli di Marco Mengoni (vedi rubrica Posta a pagina 30) che spiega la sua ambiguità citando modelli come David Bowie…
«Se ti metti in gioco devi giocare. Si vuole arrivare subito a dare un’immagine di vincente, ma per vincere o perdere devi giocare. Io faccio parte di un circuito musicale, l’hip hop, che ha una regola: esporsi. Puoi anche venirne fuori male, ma è quello che succede anche nella vita».
Ultimamente hai collaborato molto con Dargen D’Amico che è un maestro
in questo senso…
«Dargen è una delle colonne del rap di Milano, si racconta con i giochi di parole, è un percorso che richiede più tempo, ma quando ci arrivi basta davvero un gioco di parole per raccontare metà della tua vita. E questa è la magia del rap che un Ligabue e in genere chi fa rock non potrà mai permettersi. Io ho evidenziato l’ambiguità non accettata di Mengoni con
una rima; nel rap con un solo scatto puoi inquadrare il problema. E il rap in Italia sta entrando sempre più nel tessuto sociale per la puzza di verità che ha. Se pop e rock smettono di dire cose e lo faccio io, allora ascolteranno me. Se chi fa pop fa dischi filogovernativi perché altrimenti non passa in tv, si nota di più chi non passa in tv. E oggi il livello di scrittura nell’hip hop ha superato quello delle canzoni tradizionali. L’italiano nel rap, in alcuni autori come Dargen ha raggiunto un livello poetico».

A un certo punto dici «potrei scrivere i testi anche a Mina/ no, scherzo», ma secondo me potresti farlo davvero. Nel tuo slang attento alla comunicazione giovanile riesci a infilare cose più “mature”. Pensi un domani di dedicarti a una comunicazione più adulta?
«Quando scrivo ho la testa di un quindicenne, penso a cosa cercavo io nel rap da ragazzino, che per me era una sorta di fratello maggiore. Quando registro sono un quarantenne. Mi piace quella fascia di età perché è la più disposta a cambiare idee e mettersi in discussione. Se per “adulti” si intendono persone frustrate e depresse che hanno fatto scelte sbagliate, non si sono messi in gioco o hanno accettato il lavoro facile, quelle non mi interessano. Hanno talmente tante cose da capire nella loro vita che non possono capire i miei testi. Io parlo a gente che ha ancora voglia di sognare e di lottare per i suoi sogni».
Oltre Mina che artisti italiani ti va di citare?
«Sono andato a riascoltarmi delle cose anni 70, dagli Area al Banco del Mutuo Soccorso. Poi nominerei solo rap. Il migliore a scrivere in Italia adesso è Dargen D’Amico. E però poi c’è una situazione immobile dall’altra parte. L’altra sera al TG1 c’era in collegamento Cesare Cremonini per lanciare il Festival di Castrocaro proprio nel momento in cui si discuteva la legge bavaglio. Lui, secondo me, aveva il dovere di dire qualcosa, perché con un atteggiamento indifferente si diventa complici. E alla fine è come nel film La Storia Infinita: “il nulla dilaga, il nulla dilaga”. Ecco, gli artisti che non parlano e non si mettono in gioco in prima persona contribuiscono a far dilagare il nulla». Da XL 58

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