[Intervista 17-07-2011] Fabri Fibra dopo il concerto di Villafranca per Il Giornale di Vicenza

18 lug 2011 | |

Navigando, ho scovato quest'intervista recentissima al Fibroga, dopo il concerto del 16 Luglio al Castello Scaligero di Villafranca. Sempre interessante leggere e sentire le idee del nostro mito!
Un rapper contro tutti. Fabri Fibra è uno tra gli artisti pop italiani più amato dai fan e più odiato dai detrattori e dai rivali. In pochi anni, dal 2004 a oggi, attraverso dischi di successo come Tradimento, Bugiardo e il recente Controcultura, ha raccolto consensi ma allo stesso tempo ha suscitato critiche feroci per i testi controversi delle canzoni e per i contenuti espliciti delle sue parole in concerto. E proprio in questi giorni (ieri era al Castello Scaligero di Villafranca, davanti a oltre 2000 fan) sta attraversando l'Italia con la parte estiva del «Controcultura tour» che prosegue al Sud e in Sardegna, prima di chiudere a Milano, il 10 settembre.


Fibra, lei è uno dei pochissimi artisti pop a fare nomi e cognomi. Perché? (per esempio: perché fare il nome di Laura Chiatti in Vip in trip?) Non ha paura di essere querelato?
Ma i miei testi non sono mica verbali dei vigili urbani! È musica. A chi pensa che faccia nomi e cognomi solo per vendere un po' più di dischi, suggerisco di dire a chi non ha successo con la musica di fare altrettanto. E poi vediamo... Non basta buttare sul tavolo quattro nomi in croce per andare ai vertici delle classifiche; tutt'altro. E poi certi nomi dello spettacolo non appartengono a una persona, ma a un personaggio che richiama a sua volta un immaginario immediato, diretto, fortissimo. E il messaggio, così, arriva subito.
Molto spesso le parole delle sue canzoni «schiacciano» la musica, la spingono sul fondo. Ma che funzione hanno le basi nelle sue composizioni?
In realtà la musica è fondamentale; mi serve molto più tempo per selezionare la musica giusta che per scrivere i testi. Ne ascolto tantissima prima di scegliere una base piuttosto che un'altra. L'hip hop è 50 per cento testo e 50 per cento musica. Queste sono le proporzioni, ed ecco perché da noi il rap americano, originario, non ha mai davvero funzionato. Gli italiani, non capendo l'inglese, si perdono il 50 per cento dell'impatto e quindi non è mai bastato il restante 50 per cento per appassionarsi al genere.
E le parolacce? Le sue rime avrebbero la stessa efficacia senza?
Provate a dire la stessa frase con o senza una parolaccia: otterrebbe lo stesso effetto? Come nella comicità, anche nella musica le parole forti aggiungono accenti. La storia delle parolacce nella mia musica, poi, ha molto a che fare con l'ipocrisia italiana. Non credo di aver mai conosciuto nessuno, in vita mia, che non dica parolacce. Ma, quando le ascoltano nei miei pezzi, sono talmente abituati a certa musica italiana innocua e inutilmente corretta che hanno una reazione strana, come se non le dicessero mai. Scatenano sempre una strana reazione che vale la pena provocare.
Lei rappa: «La musica non dice più niente/ è una strategia che tranquillizza la gente». Anche la sua? Dove la sistemerebbe in una scala di «tranquillità pop» se Marco Carta fosse al primo posto e i 99 Posse all'ultimo?
Non direi che la mia musica tranquillizza la gente. Anzi, spero di no. Non ho mai pensato a una classifica di "tranquillità", ma di certo invito chiunque a fare un giro sulle radio italiane per rendersi conto dei soliti due argomenti, sempre uguali, nei testi della maggior parte di chi fa musica oggi. La cultura dominante - e il mio disco e il mio tour si intitolano "Controcultura" - è pensata per tranquillizzare la gente a cui piace essere sedata, assecondata; difficilmente fa nascere dubbi, dibattiti, questioni. Meglio non rischiare di farsi delle domande... Magari poi tutti si accorgono che non abbiamo le risposte.
Fonte: Il Giornale di Vicenza.it

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